mercoledì 12 novembre 2014

1926/27 - Lo scudetto revocato ovvero il "caso Allemandi"

Luglio 1927. Durante quella torrida estate, scoppiò uno scandalo che, per la prima volta, avrebbe determinato la non assegnazione di uno scudetto. 

L'antefatto
Girone finale del campionato 1926/27 (Divisione Nazionale): alla 6a giornata di ritorno il Torino comanda la classifica con 10 punti ed è seguito da Bologna e Juventus con 7.
Il 5 giugno 1927 per la 7a giornata di ritorno è in programma il derby Torino-Juventus. Vincere il derby per il Torino vorrebbe dire guadagnare un vantaggio in classifica di 5 punti sui bianconeri e mantenere a distanza di sicurezza i felsinei con solo tre partite ancora da disputare e l'ultima proprio con il Bologna. Il conte Marone, presidente granata, ne fa una questione di prestigio tanto da scommetterci una cena col rivale Edoardo Agnelli. Insomma è una partita da vincere ad ogni costo. Qualcuno prende la cosa un po' troppo alla lettera: il dirigente granata Nani. È un dirigente molto zelante e quando lo studente siciliano Giovanni Gaudioso lo avvicina non ha dubbi: accetta la sua proposta.
Ma cos'aveva di speciale il Gaudioso? Semplice: abitava nella stessa pensione in cui alloggiava il giocatore juventino Luigi Allemandi. E la sua proposta, ovviamente, era quella di trattare con Allemandi garantendogli molti soldi (50.000 lire dell'epoca) per giocare male durante il derby. Metà della somma fu versata prima della partita, l'altra metà era da versarsi al termine della partita, ovviamente vittoriosa.

Cosa successe in realtà
Il Torino si aggiudicò effettivamente il derby, ma Allemandi giocò da par suo con la tenacia, la determinazione e l'irruenza che gli erano propri. 
Gianni Brera lo descriveva così: 
«Era una forza scatenata della natura. Portava la zazzera ricciuta e aveva del diavolo. I suoi spunti veloci im­pressionavano come i suoi balzi acrobatici. Entrava primo sull'avversario lanciato al goal ed erano veri sfracelli».
L'inviato della Gazzetta, Bruno Roghi descrivendo la partita scrisse:
«I torinesi lavorano a maglie fitte, ma Allemandi è imbattibile, interviene, è sicuro e potente».
Insomma il terzino della Juventus e della Nazionale non giocò come un giocatore corrotto. Tutt'altro.
In partita ci furono effettivamente episodi un po' strani come il gol del pareggio granata. Fu battuto un calcio di punizione ed un uomo in barriera (Rosetta) allargò le gambe facendo passare il pallone. Oppure ciò che accadde nel prosieguo della partita: il centravanti juventino Pastore si fece espellere per una reazione ingenua e spropositata.

Come scoppiò lo scandalo
Nella pensione dove vivevano Gaudioso e Allemandi, aveva la sua residenza anche il giornalista romano Ferminelli. Costui era redattore del Paese Sportivo e del Tifone. Inoltre il Ferminelli aveva una spiccata antipatia per il Torino che, all'inizio della stagione, aveva dimenticato di fornirgli la tessera per lo stadio Filadelfia. La società granata lo aveva invitato a ritirare la tessera in sede. Ferminelli avrebbe invece voluto che la tessera gli fosse consegnata al giornale. Il Torino non inviò la tessera e lui non andò alla sede della società. Da quel momento Ferminelli cominciò a scrivere articoli infuocati contro il Torino. Per cui non gli parve vero di ascoltare i discorsi tra il Gaudioso e Allemandi nella stanza accanto alla sua in quel caldo giorno di luglio. Oggetto della discussione era il fatto che Nani, il dirigente granata, non voleva pagare la seconda parte di quanto pattuito, visto l'impegno di Allemandi durante la partita. Ferminelli aveva uno scoop sensazionale che avrebbe inguaiato l'odiato Torino. Sul Tifone firmò un articolo con il titolo "C'è del marcio in Danimarca". Il reportage provocò un'indagine da parte della Federcalcio di cui fu incaricato il vice di Arpinati, Giuseppe Zanetti. L'ispettore federale trovò in un cestino dei rifiuti dei pezzettini di carta che, messi insieme pazientemente, risultarono essere una lettera in cui Allemandi si lamentava del fatto di non avere ricevuto il resto del pagamento pattuito.

La sentenza
Lo scudetto del Torino fu revocato e rimase non assegnato. Secondo i regolamenti federali, il titolo sarebbe spettato alla seconda classificata, il Bologna. Ma, forse per ragioni di opportunità, Arpinati tifoso del club felsineo, decise di evitare l'assegnazione del titolo ai rossoblu, in quanto già per il semplice fatto di aver trasferito la sede della Federazione a Bologna, era stato aspramente criticato. Allemandi fu squalificato a vita, ma in seguito fu amnistiato dopo la conquista della medaglia di bronzo alle olimpiadi del 1928 da parte della Nazionale. Il testo della sentenza del 21 novembre diceva:
«Il Direttorio federa­le conferma le precedenti deci­sioni e squalifica a vita Luigi Allemandi, della cui colpevolez­za è stata pienamente raggiunta la prova; richiama il giocatore Munerati a una più esatta com­prensione dei suoi doveri in quanto un calciatore tesserato non può accettare doni di qual­siasi entità o natura da iscritti ad altre società; deplora e proi­bisce il malcostume delle scom­messe anche di lieve cifra, spe­cie quelle tenute contro le sorti dei propri colori e ammonisce per questa trasgressione il gio­catore Pastore, lieto di constata­re come l'episodio che ha dato luogo alle accennate sanzioni sia circoscritto a un solo gioca­tore e non possa quindi gettare ombra né onta sulla grande massa dei calciatori italiani».
Come si vede anche Munerati e Pastore furono coinvolti nello scandalo anche se con motivazioni differenti.

Tutto poco chiaro
Il caso comunque si rivelò poco chiaro. La foga con cui Allemandi richiedeva il pagamento della seconda parte del premio, pur avendo fatto il suo dovere in campo, fece pensare che egli fosse solo un intermediario e che il giocatore corrotto fosse un altro. Il granata Baloncieri a distanza di tempo affermò:
«Un fatto dubbio si era presentato agli inquirenti: quello di sospettare di un altro atleta che, per la sua dirittura morale, era inattaccabile».
L'attaccante granata stava alludendo all'altro terzino juventino Rosetta, che infatti allargò le gambe sul tiro di punizione che consentì il pareggio del Torino. Gianni Brera commentò nella sua Storia critica del calcio italiano:
«A questo punto, non sembra necessario essere Sherlock Holmes per appurare come sia andata, e subito dopo capire come abbia potuto Allemandi militare nell'Inter di Giovanni Mauro, vicepresidente della Fe­derazione e temibile capo degli arbitri. I sottili ricatti reciproci avevano lasciato alla Juventus il terzino più dotato di classe e avevano impedito al Bo­logna di acquistare un terzino che avrebbe fatto irresistibile coppia con il suo Monzeglio ai Mondiali 1934»
Conclusione
La sensazione che la vicenda lasciò è che Allemandi, pur avendo partecipato allo schema come intermediario, fu in realtà la vittima sacrificale per proteggere il più quotato Rosetta, terzino della Juventus e della Nazionale.

un'immagine di Luigi Allemandi con la maglia della Nazionale

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